STEMMA SPEZZA
STEMMA SPEZZA: inquartato I e IV d'azzurro all'aquila al naturale sormontata da una corona d'oro; II e III d'argento a tre fascie di rosso, caricate di quattro stelle ciascuna. Cimiero: l'aquila a volo spiegato. Motto: FRANGAR NON FLECTAR.
La Croce di Monte Cacume
COMITATO D'ONORE PER L'EREZIONE DI UNA CROCE MONUMENTALE
sul monte Capreo nei Lepini sotto l'alto patronato di SUA SANTITÀ LEONE XIII
PRESIDENTI ONORARI:
S. Em.za il Cardinale A. CIASCA - S. E. Mons. A. SARDI, vesc. di Anagni
VICE PRESIDENTI:
S. Ecc.za Mons. P. GIORGI, vesc. di Segni S. E. Mons. D. BIANCONI, vesc. di Terracina
MEMBRI D'ONORE:
Duca G. De Loubat, Conte Camillo Pecci, Marchese Carlo Canali, Cavalier G. Gigli, Conte Riccardo Pecci, Conte Michele Moroni Sindaco di Anagni, Comm. Filippo Tolli.
RAPPRESENTANTI DEI PAESI POSTI NEI LEPINI
Segni: Rev. P. Lorenzo Caratelli, Ministro Generale dei Minori Conventuali, Rev. D. Giuseppe Ramacci, parroco di S. Lucia, Giovanni Gentili, assessore municipale. Cori: Rev. Mg. Carlo Pasquali, Comm. Giovanni Maggi, consigliere provinciale. Sezze: Marchese Edoardo Rappini.
Arteria: Comm. Avv. Attilio Tornassi, sindaco, consigliere provinciale. Norma: Giuseppe Cav. Felici
Sermorae&JiRev.P.Stanislao White, abate di Valvisciola.
Bassiano: Cav. Angelo Pietrosanti, sindaco- Rev. Don Mario arciprete Bonanni Montelanico:Augusto Rossetti, Rev. Don Filippo De Biasi. Gorga: Antonio Fiora monti, Rev. Padre P. Priore dei Trinitari. Rocca Massima: Cav. Giovanni Battista Cherubini, sindaco. Giuiianello: Cav. Attilio Sbardella.
Maenza: Rev. P. Alfonso Baldassarre, agostiniano parroco. Rocca Gorga: Vincenzo Rossi Patrica: Rev. Mg. Cesare Spezza, Nicola Spezza. Supino: Luigi Foglietta.
Morato: Rev. D. Pio Franchi, arciprete, Cav. Erneslo Prof. Biondi. Sgurgola Rev. Don Giovanni Taggi Gavignano: Francesco Baiocchi. PRESIDENTE
CONTE LUDOVICO PECCI
VICE PRESIDENTI
Prevosto D. FRANCESCO MARTELLA Sig. Cav. COSTANTINO BIZZARRI, Sindaco
MEMBRI
Sig. Antonio Marini, Sig. Pio Centra Can.D. Bernardino Caraffa, D. Lelio Antonelli parroco di S. Leone, Sig. parroco D.Alfonso Martella, P. Benedetto Corsi, guardiano di S.Pietro, P. Giovanni Avenali, priore di S.Agostino, Sig. direttore dell'Ospedale di S.Pietro, Sig.Ing.Antonio Camaiti, Sig. Alberto Galeotti, Sig. Romolo Polidori, Sig. Pietro Polidori Sig. Vincenzo Caldarozzi, Sig. Francesco Seneca, Sig. Filippo Salina, Sig. Salvatore De Angelis,Sig. Silvio Quattrocchi, Sig. Giuseppe Carlo Tornassi.
SOTTO-COMITATO ATTIVO
Sig.Cav.Antonio Galeotti, Sig. Vincenzo Centra Sig. Luigi Cacciotti, Sig. Antonio Calvano Sig. Antonio Campagna, Sig.Gioacchino Seneca Sig. Alessandro Cacciotti, Sig.Gio. Batt. Macali, Sig.Attilano Antico,
Sig. Salvagni Marino
Sig.Arciprete Èrcole Santesarti, Sig. Francesco Diamilla Magnelli
(da ECO del PONTIFICATO-GAZZETTA del CLERO, n. u. agosto-sctt. 1901)
sul monte Capreo nei Lepini sotto l'alto patronato di SUA SANTITÀ LEONE XIII
PRESIDENTI ONORARI:
S. Em.za il Cardinale A. CIASCA - S. E. Mons. A. SARDI, vesc. di Anagni
VICE PRESIDENTI:
S. Ecc.za Mons. P. GIORGI, vesc. di Segni S. E. Mons. D. BIANCONI, vesc. di Terracina
MEMBRI D'ONORE:
Duca G. De Loubat, Conte Camillo Pecci, Marchese Carlo Canali, Cavalier G. Gigli, Conte Riccardo Pecci, Conte Michele Moroni Sindaco di Anagni, Comm. Filippo Tolli.
RAPPRESENTANTI DEI PAESI POSTI NEI LEPINI
Segni: Rev. P. Lorenzo Caratelli, Ministro Generale dei Minori Conventuali, Rev. D. Giuseppe Ramacci, parroco di S. Lucia, Giovanni Gentili, assessore municipale. Cori: Rev. Mg. Carlo Pasquali, Comm. Giovanni Maggi, consigliere provinciale. Sezze: Marchese Edoardo Rappini.
Arteria: Comm. Avv. Attilio Tornassi, sindaco, consigliere provinciale. Norma: Giuseppe Cav. Felici
Sermorae&JiRev.P.Stanislao White, abate di Valvisciola.
Bassiano: Cav. Angelo Pietrosanti, sindaco- Rev. Don Mario arciprete Bonanni Montelanico:Augusto Rossetti, Rev. Don Filippo De Biasi. Gorga: Antonio Fiora monti, Rev. Padre P. Priore dei Trinitari. Rocca Massima: Cav. Giovanni Battista Cherubini, sindaco. Giuiianello: Cav. Attilio Sbardella.
Maenza: Rev. P. Alfonso Baldassarre, agostiniano parroco. Rocca Gorga: Vincenzo Rossi Patrica: Rev. Mg. Cesare Spezza, Nicola Spezza. Supino: Luigi Foglietta.
Morato: Rev. D. Pio Franchi, arciprete, Cav. Erneslo Prof. Biondi. Sgurgola Rev. Don Giovanni Taggi Gavignano: Francesco Baiocchi. PRESIDENTE
CONTE LUDOVICO PECCI
VICE PRESIDENTI
Prevosto D. FRANCESCO MARTELLA Sig. Cav. COSTANTINO BIZZARRI, Sindaco
MEMBRI
Sig. Antonio Marini, Sig. Pio Centra Can.D. Bernardino Caraffa, D. Lelio Antonelli parroco di S. Leone, Sig. parroco D.Alfonso Martella, P. Benedetto Corsi, guardiano di S.Pietro, P. Giovanni Avenali, priore di S.Agostino, Sig. direttore dell'Ospedale di S.Pietro, Sig.Ing.Antonio Camaiti, Sig. Alberto Galeotti, Sig. Romolo Polidori, Sig. Pietro Polidori Sig. Vincenzo Caldarozzi, Sig. Francesco Seneca, Sig. Filippo Salina, Sig. Salvatore De Angelis,Sig. Silvio Quattrocchi, Sig. Giuseppe Carlo Tornassi.
SOTTO-COMITATO ATTIVO
Sig.Cav.Antonio Galeotti, Sig. Vincenzo Centra Sig. Luigi Cacciotti, Sig. Antonio Calvano Sig. Antonio Campagna, Sig.Gioacchino Seneca Sig. Alessandro Cacciotti, Sig.Gio. Batt. Macali, Sig.Attilano Antico,
Sig. Salvagni Marino
Sig.Arciprete Èrcole Santesarti, Sig. Francesco Diamilla Magnelli
(da ECO del PONTIFICATO-GAZZETTA del CLERO, n. u. agosto-sctt. 1901)
RESTAURO PALAZZI DELL’ANTICA CORTE: Relazione tecnica
RESTAURO PALAZZI DELL’ANTICA CORTE: Relazione tecnica
L’intervento ha avuto lo scopo di riportare a vista l’intero prospetto Sud della muratura superstite dei cosiddetti “Palazzi dell’antica Corte”; a seguito della demolizione di questi antichi fabbricati, avvenuta nel XIX secolo, la facciata in questione venne utilizzata come muro di contenimento del giardino pensile inferiore detto “Giardino segreto”; il restauro doveva dunque tenere conto di tale funzione pur tuttavia restituendo l’idea di come potessero apparire tali officine all’epoca della loro edificazione; l’intervento ha interessato un tratto di muro della lunghezza complessiva di 62 mt e dell’altezza variabile da un minimo di 3,50 mt della cantonata Sud-Est ad un massimo di 14 mt in corrispondenza della cosiddetta “Torre Maestra”.
La muratura in questione era estremamente composita, appartenete a strutture di epoche diverse: Una prima porzione di muro dell’angolo Sud-Ovest, prospiciente Via Vittoria Colonna, risultava avere una trama diversa rispetto alla muratura della porzione di muro immediatamente seguente ed adiacente la cantonata Sud-Ovest del Palazzo dell’antica Corte; in corrispondenza di questa muratura è visibile una porta con cornici ad arco risalente con molta probabilità al XVI secolo; questa porzione di muro si estende per 7 mt di lunghezza e per un’altezza di 9 mt; adiacente a questo muro inizia una muratura continua che si estende per circa 42 mt di lunghezza di epoca medioevale che presentava elementi architettonici di elevato pregio artistico, pur facenti parte della parte a livello di calpestio della via detta “piano della Corte”; la cantonata di Sud-Ovest presentava una serie di pietre squadrata di peperino patricano le quali continuavano il loro disegno fino a formare una piccola porta larga 70 cm ed alta 160 che presentava un disegno di squisita manifattura risalente al tardo XIII secolo; ad un’altezza variabile tra i 3,50 mt e 4,70 mt rispetto al piano di calpestio odierno, la struttura presentava 2 finestrelle di piccole dimensioni ed una feritoia; Spostandosi verso Est, in corrispondenza della “Torre Maestra” sono state rinvenute diverse mensole inserire nella muratura di riempimento, le quali, in seguito alla loro rimozione hanno permesso di riportare alla luce un sedile in pietra e l’imposta di una finestra di grandi dimensioni (probabilmente una bifora); l’estremità sud-orientale della struttura presentava una colonna angolate in peperino a bugne lisce ed una mensola dal disegno elegante. L’ultima porzione di muro, costruito con funzione contenitiva del terrapieno del “giardino segreto” nel 1916, presentava un intonaco “arricciato” oramai fatiscente.
Il primo intervento è stato la rimozione dei rampicanti che avevano coperto oltre i 2/3 della facciata, operazione questa che è stata eseguita dopo l’essiccatura provocata mediante taglio alla base; Inoltre si è proceduto all’eliminazione delle radici e della terra infiltrata nelle fessure del tessuto murario; in seguito si è proceduto a spazzolatura, idrolavaggio a pressione controllata e rimozione manuale della stuccatura preesistente; gli elementi architettonici decorativi in peperino (cantonate, mensole, portali e finestre) sono stati puliti con acqua nebulizzata a bassa pressione e con spazzole di setole naturali; la cantonata Sud-Ovest, prospiciente Via Vittoria Colonna, presentava tracce di intonaci che nei secoli hanno provocato un fenomeno di dilavamento che comportava una scomparsa degli strati di finitura più superficiali ed allo stesso tempo una coesione degli strati più aderenti la pietra. Tale fenomeno ha conferito a queste superfici di peperino un effetto non omogeneo, da considerarsi un fenomeno di naturale invecchiamento, di aspetto gradevole e quindi da conservare. Bisognava tuttavia eseguire un trattamento di pulizia a base d’acqua a bassa pressione e spazzole di fibre morbide evitando l’utilizzo di solventi chimici a causa dell’estrema porosità del peperino patricano.
Si è proceduto quindi ad interventi di adeguamento statico, concernenti il consolidamento delle strutture verticali e la ricostituzione della parte terminale superiore del muro con materiali e tecniche antiche del restauro; al fine di una migliore lettura degli interventi che nei secoli sono stati realizzati, è stata conservata una soletta di cemento realizzata negli anni sessanta; Si è proceduto quindi ad una nuova stuccatura con malta a base cementizia e di pozzolana. Sono state, inoltre, smantellate le tamponature di una delle due porte adiacenti la cantonata Sud-Ovest e di quattro delle cinque finestre anticamente presenti nel livello più basso della struttura; queste tamponature erano state realizzate mediante l’utilizzo di malte poco resistenti e pietre di piccole dimensioni; grazie alla loro demolizione si è potuto procedere allo studio della muratura della facciata che in prossimità di tali aperture è risultata avere uno spessore di circa 1,40 mt; La nuova tamponatura è stata realizzata mediante una cortina di pianelle di cotto, risalenti al XV secolo, incassata di circa 12 cm rispetto al profilo delle cornici; In tal modo è stato possibile mettere in risalto la strombatura delle finestre e l’elegante modanatura della piccola porta trecentesca prospiciente l’inizio di Via Vittoria Colonna.
Ulteriore intervento è stato il consolidamento ed il riposizionamento delle mensole in peperino della merlettatura, non più esistente, della “Torre Maestra” in corrispondenza di un aggetto in cemento realizzato nel secondo dopoguerra e la rimozione, con conseguente rifacimento, di fatiscenti intonaci di una porzione di muro costruito nel 1916 che chiude il “giardino segreto”; Il vecchio intonaco “arricciato” è stato sostituito con un intonaco a base di malte cementizie con finitura “fratassata”.
L’intervento ha avuto lo scopo di riportare a vista l’intero prospetto Sud della muratura superstite dei cosiddetti “Palazzi dell’antica Corte”; a seguito della demolizione di questi antichi fabbricati, avvenuta nel XIX secolo, la facciata in questione venne utilizzata come muro di contenimento del giardino pensile inferiore detto “Giardino segreto”; il restauro doveva dunque tenere conto di tale funzione pur tuttavia restituendo l’idea di come potessero apparire tali officine all’epoca della loro edificazione; l’intervento ha interessato un tratto di muro della lunghezza complessiva di 62 mt e dell’altezza variabile da un minimo di 3,50 mt della cantonata Sud-Est ad un massimo di 14 mt in corrispondenza della cosiddetta “Torre Maestra”.
La muratura in questione era estremamente composita, appartenete a strutture di epoche diverse: Una prima porzione di muro dell’angolo Sud-Ovest, prospiciente Via Vittoria Colonna, risultava avere una trama diversa rispetto alla muratura della porzione di muro immediatamente seguente ed adiacente la cantonata Sud-Ovest del Palazzo dell’antica Corte; in corrispondenza di questa muratura è visibile una porta con cornici ad arco risalente con molta probabilità al XVI secolo; questa porzione di muro si estende per 7 mt di lunghezza e per un’altezza di 9 mt; adiacente a questo muro inizia una muratura continua che si estende per circa 42 mt di lunghezza di epoca medioevale che presentava elementi architettonici di elevato pregio artistico, pur facenti parte della parte a livello di calpestio della via detta “piano della Corte”; la cantonata di Sud-Ovest presentava una serie di pietre squadrata di peperino patricano le quali continuavano il loro disegno fino a formare una piccola porta larga 70 cm ed alta 160 che presentava un disegno di squisita manifattura risalente al tardo XIII secolo; ad un’altezza variabile tra i 3,50 mt e 4,70 mt rispetto al piano di calpestio odierno, la struttura presentava 2 finestrelle di piccole dimensioni ed una feritoia; Spostandosi verso Est, in corrispondenza della “Torre Maestra” sono state rinvenute diverse mensole inserire nella muratura di riempimento, le quali, in seguito alla loro rimozione hanno permesso di riportare alla luce un sedile in pietra e l’imposta di una finestra di grandi dimensioni (probabilmente una bifora); l’estremità sud-orientale della struttura presentava una colonna angolate in peperino a bugne lisce ed una mensola dal disegno elegante. L’ultima porzione di muro, costruito con funzione contenitiva del terrapieno del “giardino segreto” nel 1916, presentava un intonaco “arricciato” oramai fatiscente.
Il primo intervento è stato la rimozione dei rampicanti che avevano coperto oltre i 2/3 della facciata, operazione questa che è stata eseguita dopo l’essiccatura provocata mediante taglio alla base; Inoltre si è proceduto all’eliminazione delle radici e della terra infiltrata nelle fessure del tessuto murario; in seguito si è proceduto a spazzolatura, idrolavaggio a pressione controllata e rimozione manuale della stuccatura preesistente; gli elementi architettonici decorativi in peperino (cantonate, mensole, portali e finestre) sono stati puliti con acqua nebulizzata a bassa pressione e con spazzole di setole naturali; la cantonata Sud-Ovest, prospiciente Via Vittoria Colonna, presentava tracce di intonaci che nei secoli hanno provocato un fenomeno di dilavamento che comportava una scomparsa degli strati di finitura più superficiali ed allo stesso tempo una coesione degli strati più aderenti la pietra. Tale fenomeno ha conferito a queste superfici di peperino un effetto non omogeneo, da considerarsi un fenomeno di naturale invecchiamento, di aspetto gradevole e quindi da conservare. Bisognava tuttavia eseguire un trattamento di pulizia a base d’acqua a bassa pressione e spazzole di fibre morbide evitando l’utilizzo di solventi chimici a causa dell’estrema porosità del peperino patricano.
Si è proceduto quindi ad interventi di adeguamento statico, concernenti il consolidamento delle strutture verticali e la ricostituzione della parte terminale superiore del muro con materiali e tecniche antiche del restauro; al fine di una migliore lettura degli interventi che nei secoli sono stati realizzati, è stata conservata una soletta di cemento realizzata negli anni sessanta; Si è proceduto quindi ad una nuova stuccatura con malta a base cementizia e di pozzolana. Sono state, inoltre, smantellate le tamponature di una delle due porte adiacenti la cantonata Sud-Ovest e di quattro delle cinque finestre anticamente presenti nel livello più basso della struttura; queste tamponature erano state realizzate mediante l’utilizzo di malte poco resistenti e pietre di piccole dimensioni; grazie alla loro demolizione si è potuto procedere allo studio della muratura della facciata che in prossimità di tali aperture è risultata avere uno spessore di circa 1,40 mt; La nuova tamponatura è stata realizzata mediante una cortina di pianelle di cotto, risalenti al XV secolo, incassata di circa 12 cm rispetto al profilo delle cornici; In tal modo è stato possibile mettere in risalto la strombatura delle finestre e l’elegante modanatura della piccola porta trecentesca prospiciente l’inizio di Via Vittoria Colonna.
Ulteriore intervento è stato il consolidamento ed il riposizionamento delle mensole in peperino della merlettatura, non più esistente, della “Torre Maestra” in corrispondenza di un aggetto in cemento realizzato nel secondo dopoguerra e la rimozione, con conseguente rifacimento, di fatiscenti intonaci di una porzione di muro costruito nel 1916 che chiude il “giardino segreto”; Il vecchio intonaco “arricciato” è stato sostituito con un intonaco a base di malte cementizie con finitura “fratassata”.
Il Castello dei conti Spezza
Le origini della famiglia Spezza risalgono, con molta probabilità, al XIV secolo, fin da quando si ha notizia, in alcuni documenti, di un Antonius de Speza “Miles pius et iustus”. Notizie più concrete le acquisiamo a partire dal tardo XV secolo, allorquando Benedetto (d’) Orlando de Speza decise di lasciare le sue terre d’origine, la Spagna, per stabilirsi nel Regno di Napoli. Qui, Alfonso il Magnanimo, una volta raggiunta la conquista del Regno, si adoperò molto al fine di organizzare un apparato burocratico a lui favorevole, costituito principalmente da elementi di provenienza catalano-aragonese. Questa “ispanizzazione” della burocrazia, vedeva la sua ragion d’essere nella volontà della dinastia Trastamara di contrapporsi energicamente alle reiterate velleità autonomistiche del potentissimo “baronaggio” napoletano, soprattutto all’indomani della famigerata “congiura dei baroni”. Tuttavia, permangono ancora non pochi dubbi riguardo le circostanze e le motivazioni che spinsero Benedetto (d’) Orlando, insieme con suo figlio Giovanni (che per primo italianizzò il nome in Spezza), ad abbandonare il Regno di Napoli e stabilirsi nelle terre di Patrica che all’epoca dipendevano, seppur indirettamente, dallo Stato della Chiesa. A tal riguardo sono state proposte ulteriori ipotesi circa la venuta dei de Speza nella penisola italica: essi, come molti altri nobili d’arme spagnoli dell’epoca, potevano essere stati allettati dalla prospettiva di acquisire territori feudali nell’Italia meridionale, ma una volta trovatisi nel bel mezzo della contesa tra la dinastia Trastamara e i feudatari del napoletano, è probabile che abbiano avuto la peggio e furono, in qualche modo, costretti a stabilirsi in territori più sicuri. Patrica, a quel tempo, dipendeva direttamente dalla famiglia Conti da Ceccano che l’aveva in feudo fin dalla dissoluzione dell’omonima contea. Questa tesi però, è sicuramente più problematica sotto diversi punti di vista, primo fra tutti la parzialità e l’insufficienza delle documentazioni che sarebbero in grado di convalidarla.
Fin dai primi tempi della loro presenza a Patrica, gli Spezza, ebbero accesso a cariche istituzionali di vario genere ed importanza: nei primi anni della seconda metà del XVI secolo diversi esponenti della famiglia furono “comites Stabiles” o comestabili, ufficiali di vario rango e notabili che ricoprirono ruoli, in alcuni casi, di grande importanza nel periodo della restaurazione del “regime o statuto di Castello” promossa dal commissario della Camera Apostolica Agostino Gottuzzi. Inoltre dal 1599 al 1625 gli Spezza furono sostenitori e in parte finanziatori e garanti della politica dei Santacroce, che a quell’epoca detenevano la signoria di Patrica.
La costruzione del palazzo baronale iniziò, con approssimazione, nella seconda metà del XVI secolo, subendo, nell’arco di circa due secoli e mezzo, numerose alterazioni, sistemazioni e demolizioni, soprattutto per quel che riguardava i preesistenti fabbricati che anticamente costituivano la ‘corte feudale’ del paese. Non è facile delineare le estese sedimentazioni dei secoli, le manomissioni, i rifacimenti e i cambi di destinazione che questo insieme di costruzioni ha subito, anche se qui ci cimenteremo brevemente nell’impresa. Questo composito ed eterogeneo complesso di strutture, all’epoca conosciuto con il nome di “Palazzi della Corte”, era costituito principalmente di tre o forse quattro corpi di fabbrica distinti, risalenti ad epoche diverse, e caratterizzati da stili architettonici peculiari del periodo in cui vennero costruiti. Gli edifici più antichi erano il Palazzo detto “dell’antica Corte” ed il “Torrione Ovest” o “ Annibaldi” dal nome della famiglia che, detenendo fin dal 1291 la signoria delle terre di Patrica, ne commissionò, presumibilmente, l’ edificazione. Il “Palazzo dell’antica Corte”, di formazione tardo duecentesca, costituiva il luogo istituzionale dove veniva amministrato il potere della “corte”, inteso come potere proprio del feudatario, e di conseguenza era formato da una serie di sale ad uso “pubblico” concernenti tra l’altro l’amministrazione della giustizia. Con la costruzione del palazzo baronale rinascimentale (l’attuale Palazzo Spezza), la struttura cadde in disuso per poi essere affittata nel XVII secolo ad una conceria di pellami, da cui prese poi il nome di “Palazzo della concia”. Tuttavia, già nella prima metà del XVIII secolo il fabbricato viene descritto come “in parte diruto” e nel XIX secolo verrà demolito per creare un giardino pensile all’italiana. Anche se l’edificio non è più esistente, alcuni suoi elementi architettonici e strutturali sono tuttora rintracciabili e visibili nel muro di contenimento del giardino pensile ‘segreto’ di Palazzo Spezza. Il “Torrione Annibaldi” era una casa-torre, con annesse fortificazioni difensive, risalente, orientativamente, allo stesso periodo del “Palazzo della Corte” e, sorgendo immediatamente a Nord di questo, era con molta probabilità ad esso collegato. Al contrario di quest’ultimo però, il Torrione venne inglobato quasi interamente nelle officine cinquecentesche del palazzo baronale e di conseguenza il suo tessuto murario risulta ancora visibile nell’angolo Sud-Ovest del palazzo.
Sulla via detta “piano di corte” sorse, nella seconda metà del XV secolo, l’omonimo Palazzo, anch’esso in parte assimilato nella struttura rinascimentale e in parte demolito nel corso dell’Ottocento. Purtroppo queste demolizioni hanno impedito di ammirarne la bellezza, anche se qui, al contrario degli esempi precedenti, le parti inglobate nelle costruzioni cinquecentesche sono quasi perfettamente conservate e permettono di sapere molto di questo edificio. L’esempio più eclatante, in tal senso, è la presenza di una sala, rimasta quasi inalterata nei secoli, detta “Sala del Forno”. Questo ambiente mostra già un’elaborazione architettonica di grande interesse, messa in evidenza dalla presenza di una volta a “lunette” con alla base cornici di peperino patricano finemente scolpite, un pavimento in cotto, risalente al periodo della costruzione del fabbricato, e la presenza di un camino, di grandi dimensioni, con poderosi modiglioni di elevato pregio artistico. La sala, in origine, faceva parte degli ambienti di rappresentanza del “Palazzo di pian di corte” ma, con la sua incorporazione nell’edificio rinascimentale, venne ridotta a cucina, come mostra la creazione di un piccolo forno, adiacente al camino, da cui poi si sarebbe tratta ispirazione per il suo nome. Le uniche alterazioni che la sala subì furono l’asportazione del camino e di alcune cornici della volta al fine di essere ‘riassemblati’ in una sala dell’appartamento al piano nobile, la cosiddetta “Sala delle Armi”.
L’edificio che donò al complesso dei palazzi della corte un indiscutibile pregio architettonico fu, senza ombra di dubbio, quello cinquecentesco. Come già accennato, la sua costruzione ebbe inizio nella seconda metà del XVI secolo, assumendo, tuttavia, l’aspetto attuale soltanto due secoli dopo. Rispetto alle strutture preesistenti, questo palazzo venne concepito secondo stili architettonici di estrema eleganza e raffinatezza soprattutto nel suo prospetto principale, caratterizzato da una pianta liscia sulla quale risaltano con note di intenso chiaroscuro l’imponente portale bugnato, le raffinate cornici modanate delle finestre che poggiano su eleganti marcapiani in peperino e le colonne angolari bugnate. Originariamente questa costruzione assimilò a Sud-Ovest il già menzionato Torrione Annibaldi e a Sud-Est una parte del Palazzo di pian di corte, lasciando, però, separate queste strutture nel loro prospetto Sud. Questo fatto ha dato modo di elaborare alcune teorie che riguarderebbero soprattutto l’intento originario del progetto: con molta probabilità, il palazzo baronale avrebbe dovuto avere una forma quadrangolare, con cortile centrale, assorbendo quasi interamente tutto il complesso dei Palazzi e servendosi di questi corpi di fabbrica come ‘fondamenta’ del nuovo, imponente edificio. Ciò nonostante, nel XVI secolo, venne realizzata la costruzione solamente di una parte del palazzo inizialmente progettato, lasciando, per così dire, l’opera incompiuta. Anche se non esistono fonti certe di quanto detto, lo studio attento della sua struttura e la presenza di diversi indizi in questo senso, donano alla tesi qui riportata un potente alone di veridicità. Storicamente, infatti, sappiamo che il periodo che va dal 1599 al 1625 fu caratterizzato da frequenti difficoltà economiche della famiglia Santacroce, e che a causa dei numerosi debiti all’epoca contratti (ivi inclusi quelli con gli Spezza), dovettero cedere nel 1625, per una cifra stabilita nell’ordine di sessantacinquemila Scudi d’oro, il feudo alla famiglia Colonna; è quindi da escludere che i Santacroce si trovassero nelle condizioni migliori per dedicarsi al completamento del palazzo baronale. Nel 1625, i Colonna vennero in possesso del Marchesato di Patrica, ma, a quanto sembra, furono più interessati alla valle del Sacco che non alle sorti del paese e questo perché l’acquisizione del feudo venne motivato dalla volontà del nobile casato di creare un bilanciamento di poteri in un luogo strategico di cruciale importanza, dominato dalla famiglia Caetani, storicamente opposta alla potente famiglia romana, che deteneva la signoria di Fumone. Iniziò così la costruzione di un nuovo palazzo in zona Tomacella, sulle rive del fiume Sacco, in posizione dominante sulla valle, ma simbolicamente decentrato rispetto al paese. La costruzione del Palazzo Colonna, aquanto pare, ebbe inizio nella seconda metà del XVII secolo, quando ormai il Palazzo baronale di Patrica era già, in gran parte proprietà della famiglia Spezza. Bisogna, a questo punto, fare una precisazione in merito alle diverse destinazioni d’uso dei Palazzi della Corte. I documenti in nostro possesso a tal riguardo non sono chiari, comunque si presume che il Palazzo cinquecentesco sia stato costruito con lo scopo di sostituire nelle sue funzioni istituzionali quello tardo-duecentesco dell’antica Corte, e di conseguenza quello che oggi è il “piano nobile”, con molta probabilità, deve essere stato ‘allestito’ con l’intento di ospitare una serie di sale destinate alle udienze e altre destinate alla cancelleria come testimoniano una serie di decorazioni parietali anticamente presenti nella Sala dello Stemma e nella Sala delle grottesche; tuttavia, almeno inizialmente, questo nuovo corpo di fabbrica non risultava essere di dimensioni sufficientemente grandi per tale utilizzo; molto probabilmente, le altre strutture del complesso avevano mantenuto, fino alla prima metà del XVII secolo, le loro funzioni e il Palazzo rinascimentale venne impiegato, principalmente, con scopi di rappresentanza. Nella prima metà del Seicento numerosi documenti attestano la presenza nei Palazzi della Corte di un “notaro” Antonio Spezza, il quale permutò alcuni fabbricati di sua proprietà con il “Palazzo di pian di corte”; tuttavia, è più che probabile che il notaio Antonio utilizzasse il palazzo come suo studio, e non come residenza, anche se l’idea di trasformare ad uso abitativo il complesso, quasi certamente, è imputabile alla sua volontà. Con l’avvento poi, dell’amministrazione Colonna, le sorti della famiglia e quelle del Palazzo erano inevitabilmente destinate a cambiare.
La famiglia Spezza nel corso del seicento incrementò molto la propria importanza nel contesto cittadino, così da spingere diverse famiglie notabili ad imparentarsi con loro e a costituire una ‘casta’ nobiliare, non sempre in placido accordo con i discendenti dei conti di Tuscolo. Esponente principale di questo periodo fu il conte Ercole e successivamente il suo primogenito Nicola. Recenti studi hanno messo in evidenza la possibilità che i rapporti tra i Colonna e gli Spezza non fossero dei migliori, in realtà la documentazione necessaria per avvalorare una simile ipotesi non è sufficientemente chiara. Ad onor del vero, in questa sede sembra più opportuno parlare di una stretta complicità tra le due famiglie che culminerà nel 1759 con un atto di riconoscimento di importanti “Prerogative, Privilegi ed Esenzioni” nel Marchesato, attribuite da Federico Colonna al conte Nicola e ai suoi discendenti, Carlo e il Monsignor Angelo. Il valore ‘legale’ di questo atto è sintomatico dei rapporti che legarono i due casati, soprattutto per ciò che riguardava l’indiscussa ingerenza degli Spezza nella politica cittadina e le “competenze” dell’una e dell’altra famiglia nell’amministrazione del territorio. Fu in questo periodo storico così favorevole per la famiglia, che Nicola Spezza decise di intraprendere dei consistenti lavori di ampliamento della propria avita dimora.
Uno dei primi interventi fu la costruzione di una nuova “ala”, proiettata verso Est, e la costruzione di un corpo di fabbrica che chiudeva il prospetto Sud del Palazzo, mettendo in diretta comunicazione il “Torrione Annibaldi” con il Palazzo di pian di corte. Per quanto riguarda quest’ultimo intervento, recenti studi hanno messo in luce la possibilità che la sua realizzazione possa risalire al primo quarto del Settecento o addirittura alla fine del XVII secolo, attribuendone la paternità della committenza al conte Ercole, padre di Nicola Spezza, o ai suoi predecessori, ma purtroppo la tesi, che si basa essenzialmente sullo studio dell’architettura di una sala delle attuali cantine detta “Sala della Loggia”, non è facilmente dimostrabile. Ciò che invece sembra più possibile è che questa struttura, che corrisponde in planimetria all’intero intervento di chiusura della facciata sud, sia stata costruita prima dell’ampliamento settecentesco, al fine di creare un grande terrazzo con al di sotto una loggia, caratterizzata da una seria di volte a vela, che si apriva dinanzi ad un piccolo cortile inserito tra il Palazzo dell’antica Corte e il Palazzo di pian di corte. Secondo quanto ci è dato sapere, nel XVIII secolo le arcate di questa loggia vennero tamponate, aprendo sulle massicce pareti delle ampie finestre e tutta questa costruzione fu utilizzata come ‘fondamenta’ per l’ampliamento del piano nobile e del secondo piano. L’ampliamento al piano nobile consistette nella creazione di due sale contraddistinte da deliziose volte a padiglione che vennero decorate nel 1805. L’intervento che, tuttavia, impegnò maggiormente la famiglia fu certamente la già menzionata creazione della “Ala Nuova”. E’ probabile che l’intento originario fosse quello di creare un grande salone a doppia altezza, una sorta di sala di alta rappresentanza o “Sala delle Udienze”. Quasi immediatamente però, la scelta di realizzare al posto del classico tetto a falde un grande terrazzo, comportò non pochi problemi al nuovo corpo di fabbrica. Nel primo quarto del XIX secolo venne perciò deciso di coprire il terrazzo sovrastante e, per rendere più solida la struttura, venne creato un muro di spina che separò la grande sala in due realizzando inoltre un piano superiore destinato alla foresteria. Al piano nobile venne ricavato dal precedente ambiente, un salone di dimensioni più contenute, con tre retrocamere adiacenti e comunicanti che nel XIX secolo costituirono, insieme con l’odierna Sala delle Armi, gli appartamenti del Monsignor Cesare Spezza.
Tra gli eventi di una certa importanza che caratterizzarono la storia della famiglia e della sua dimora vi è, nella seconda metà del XVIII secolo, lo stretto rapporto d’amicizia instauratosi tra il conte Nicola e l’allora cardinal Gian Vincenzo Antonio Ganganelli, che nel Maggio del 1769 sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Clemente XIV. Il cardinal Ganganelli fu ospite del conte Nicola e commissionò la splendida pala d’altare della chiesa di San Giovanni, luogo sacro dove storicamente un ramo della famiglia ebbe cappelle gentilizie con sepoltura e cappellania di iuspatronato sotto il titolo di Santo Stefano.
Un altro intervento di grande importanza fu la sistemazione del cosiddetto “Cortile d’Onore” con la creazione di una serie di terrazzamenti ascendenti verso la Rocca o “Cittadella” e la costruzione nel 1774 dello squisito “Ninfeo” che designa l’ingresso al giardino pensile di formazione seicentesca. L’aspetto stravagante che contraddistingue il Ninfeo rappresenta, per così dire, un ‘unicum’ nell’ambito dell’architettura locale, distaccandosi profondamente dal gusto proprio della romanità, per aderire a canoni stilistici e decorativi di dichiarata ispirazione francese. L’intera struttura, che rappresenta una sorta di monumentale ‘cornice’ del cosiddetto “Corridoio Prospettico” del giardino pensile, è costituito da una serie alternata di colonne monolitiche finemente scolpite con motivi di ispirazione naturalistica e con figure grottesche di eccellente manifattura. Le colonne più alte, insieme a quelle di altezza inferiore che si trovano all’estremità della struttura, terminano con articolati pinnacoli, che ne amplificano il carattere puramente decorativo. Queste colonne sono raccordate nella parte centrale da un architrave al centro del quale vi è scolpito un rosone raffigurante la rosa dei venti, tipico elemento ornamentale del tardo secolo barocco; nelle parti laterali, rispetto al portale d’ingresso, il raccordo, dall’andamento discendente verso le estremità, è realizzato mediante dei modiglioni che terminano con eleganti volute, sotto i quali si aprono deliziose nicchie rimarcate da cornici modanate. La scenografia estremamente elegante e articolata che il Ninfeo crea, bene si sposa, tutto sommato, con l’aspetto severo ed imponente della facciata del palazzo e con le macere, dal carattere dichiaratamente rustico, che si ‘arrampicano’ in un turbinio di spirali fin sopra la Rocca. Riguardo alla sua committenza, si è ipotizzato che l’ideatore di questa struttura fosse stato il monsignor Gian Domenico Finateri, zio di Anna Maria Finateri, moglie dal 1739 del conte Nicola. Il Monsignor Finateri fu diplomatico pontificio di indiscussa fama e priore dell’ Ordine di Malta e San Lazzaro, risedette presso la corte di Luigi XV e XVI fino allo scoppio della Rivoluzione Francese e, una volta tornato in Italia fu ospite per diverso tempo nel Palazzo baronale. In effetti ogni elemento stilistico del Ninfeo mostra, senza alcun dubbio, l’ispirazione a canoni architettonici propri del tardo barocco d’oltralpe, ma in ogni caso il riferimento al Monsignor Finateri deve essere fatto semplicemente come ispiratore e non come committente.
Nel corso del XIX secolo, numerosi membri della famiglia si dedicarono ad una vasta opera di ristrutturazione ed abbellimento dell’intero complesso architettonico. Numerose sono le decorazioni realizzate nella prima decade del secolo, ivi comprese quelle della Sala degli Antenati e quelle delle volte nelle retrocamere del piano nobile. Tuttavia, gli interventi più consistenti furono le demolizioni degli antichi Palazzi della Corte e la creazione, nel terzo quarto dell’Ottocento, di un giardino pensile detto “giardino segreto” che diede una suggestiva “apertura” al prospetto Sud del Palazzo, immergendo l’intera struttura in un contesto naturale di eccezionale fascino.
Tra gli antenati più significativi dell’epoca, ci sembra opportuno menzionare il Monsignor Cesare Spezza, il quale fu reggente della Cancelleria Apostolica, canonico vaticano, protonotario apostolico e prelato referendario del Tribunale di Segnatura. Persona d’animo generoso, dedito a diverse opere di mecenatismo e contraddistinto da una grande sensibilità nel donare a favore della collettività, Monsignor Cesare, commissionò numerose ristrutturazioni negli appartamenti al piano nobile. Tra gli interveti maggiormente caratterizzanti vi è sicuramente la sostituzione delle pavimentazioni originarie, realizzate in finissimo cotto, con mattoni in graniglia di marmi policromi che decorano in maniera sontuosa tutte le sale di rappresentanza. La committenza del restauro della Sala d’ingresso e della Sala delle Udienze si deve invece al conte Achille il quale, in occasione del suo matrimonio con la contessa di Terni Anna Castelli, decise di far realizzare, nella Sala d’ingresso, un maestoso stemma con le Armi congiunte delle due famiglie, al posto delle malridotte, sebbene interessanti, decorazioni tardo seicentesche che caratterizzavano questo ambiente. La sala che anticamente veniva chiamata “Sala delle Udienze”, contraddistinta da una vastissima decorazione parietale a grottesche, venne anch’essa ristrutturata, in modo tale da poter ospitare l’imponente quadro che ritraeva Leone XIII, mediante il rivestimento delle pareti affrescate con un broccato dal color rosso cardinalizio.
Nel 1851 Ercole Spezza si unì in matrimonio con Severina dei conti Pecci, nipote di Vincenzo Giovacchino Pecci, che nel 1878 sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Leone XIII, fautore tra l’altro, della celeberrima enciclica “Rerum Novarum”. Questa unione ebbe significativi risvolti non solo per la famiglia, ma anche per Patrica: all’alba del XX secolo, Leone XIII volle erigere 20 croci sulle cime più alte d’ Italia in segno di redenzione. A Patrica, l’iniziativa venne fortemente sostenuta dai suoi nipoti prediletti, il Monsignor Cesare e il cavalier Nicola Spezza, i quali, oltre alle ingenti donazioni fatte a tal scopo, istituirono un comitato per sostenere economicamente l’impresa e per rendere partecipe la cittadinanza tutta dell’importante avvenimento.
Inoltre, in questa sede, ci sembra doveroso ricordare l’energica opera di conservazione e valorizzazione del vasto complesso architettonico che animò, intorno alla metà del secolo scorso, le volontà del conte Vincenzo e della sua sposa Maria Vittoria Silvestri Faà, contessa e nobile coscritta di Anagni, dei quali rimane traccia indelebile nella storia della famiglia ed in quella del paese.
Da ultimo e per completezza, vanno menzionati i costanti e cospicui interventi di manutenzione conservativa che gli attuali discendenti del nobile casato hanno compiuto negli ultimi trent’anni, in tutto il vasto complesso del Castello Spezza che continua a vivere al passo con i tempi, ma offrendo al contempo un’autentica testimonianza della ‘peripezie’, che in maniera incancellabile, hanno caratterizzato i suoi quasi undici secoli di vita.
Fin dai primi tempi della loro presenza a Patrica, gli Spezza, ebbero accesso a cariche istituzionali di vario genere ed importanza: nei primi anni della seconda metà del XVI secolo diversi esponenti della famiglia furono “comites Stabiles” o comestabili, ufficiali di vario rango e notabili che ricoprirono ruoli, in alcuni casi, di grande importanza nel periodo della restaurazione del “regime o statuto di Castello” promossa dal commissario della Camera Apostolica Agostino Gottuzzi. Inoltre dal 1599 al 1625 gli Spezza furono sostenitori e in parte finanziatori e garanti della politica dei Santacroce, che a quell’epoca detenevano la signoria di Patrica.
La costruzione del palazzo baronale iniziò, con approssimazione, nella seconda metà del XVI secolo, subendo, nell’arco di circa due secoli e mezzo, numerose alterazioni, sistemazioni e demolizioni, soprattutto per quel che riguardava i preesistenti fabbricati che anticamente costituivano la ‘corte feudale’ del paese. Non è facile delineare le estese sedimentazioni dei secoli, le manomissioni, i rifacimenti e i cambi di destinazione che questo insieme di costruzioni ha subito, anche se qui ci cimenteremo brevemente nell’impresa. Questo composito ed eterogeneo complesso di strutture, all’epoca conosciuto con il nome di “Palazzi della Corte”, era costituito principalmente di tre o forse quattro corpi di fabbrica distinti, risalenti ad epoche diverse, e caratterizzati da stili architettonici peculiari del periodo in cui vennero costruiti. Gli edifici più antichi erano il Palazzo detto “dell’antica Corte” ed il “Torrione Ovest” o “ Annibaldi” dal nome della famiglia che, detenendo fin dal 1291 la signoria delle terre di Patrica, ne commissionò, presumibilmente, l’ edificazione. Il “Palazzo dell’antica Corte”, di formazione tardo duecentesca, costituiva il luogo istituzionale dove veniva amministrato il potere della “corte”, inteso come potere proprio del feudatario, e di conseguenza era formato da una serie di sale ad uso “pubblico” concernenti tra l’altro l’amministrazione della giustizia. Con la costruzione del palazzo baronale rinascimentale (l’attuale Palazzo Spezza), la struttura cadde in disuso per poi essere affittata nel XVII secolo ad una conceria di pellami, da cui prese poi il nome di “Palazzo della concia”. Tuttavia, già nella prima metà del XVIII secolo il fabbricato viene descritto come “in parte diruto” e nel XIX secolo verrà demolito per creare un giardino pensile all’italiana. Anche se l’edificio non è più esistente, alcuni suoi elementi architettonici e strutturali sono tuttora rintracciabili e visibili nel muro di contenimento del giardino pensile ‘segreto’ di Palazzo Spezza. Il “Torrione Annibaldi” era una casa-torre, con annesse fortificazioni difensive, risalente, orientativamente, allo stesso periodo del “Palazzo della Corte” e, sorgendo immediatamente a Nord di questo, era con molta probabilità ad esso collegato. Al contrario di quest’ultimo però, il Torrione venne inglobato quasi interamente nelle officine cinquecentesche del palazzo baronale e di conseguenza il suo tessuto murario risulta ancora visibile nell’angolo Sud-Ovest del palazzo.
Sulla via detta “piano di corte” sorse, nella seconda metà del XV secolo, l’omonimo Palazzo, anch’esso in parte assimilato nella struttura rinascimentale e in parte demolito nel corso dell’Ottocento. Purtroppo queste demolizioni hanno impedito di ammirarne la bellezza, anche se qui, al contrario degli esempi precedenti, le parti inglobate nelle costruzioni cinquecentesche sono quasi perfettamente conservate e permettono di sapere molto di questo edificio. L’esempio più eclatante, in tal senso, è la presenza di una sala, rimasta quasi inalterata nei secoli, detta “Sala del Forno”. Questo ambiente mostra già un’elaborazione architettonica di grande interesse, messa in evidenza dalla presenza di una volta a “lunette” con alla base cornici di peperino patricano finemente scolpite, un pavimento in cotto, risalente al periodo della costruzione del fabbricato, e la presenza di un camino, di grandi dimensioni, con poderosi modiglioni di elevato pregio artistico. La sala, in origine, faceva parte degli ambienti di rappresentanza del “Palazzo di pian di corte” ma, con la sua incorporazione nell’edificio rinascimentale, venne ridotta a cucina, come mostra la creazione di un piccolo forno, adiacente al camino, da cui poi si sarebbe tratta ispirazione per il suo nome. Le uniche alterazioni che la sala subì furono l’asportazione del camino e di alcune cornici della volta al fine di essere ‘riassemblati’ in una sala dell’appartamento al piano nobile, la cosiddetta “Sala delle Armi”.
L’edificio che donò al complesso dei palazzi della corte un indiscutibile pregio architettonico fu, senza ombra di dubbio, quello cinquecentesco. Come già accennato, la sua costruzione ebbe inizio nella seconda metà del XVI secolo, assumendo, tuttavia, l’aspetto attuale soltanto due secoli dopo. Rispetto alle strutture preesistenti, questo palazzo venne concepito secondo stili architettonici di estrema eleganza e raffinatezza soprattutto nel suo prospetto principale, caratterizzato da una pianta liscia sulla quale risaltano con note di intenso chiaroscuro l’imponente portale bugnato, le raffinate cornici modanate delle finestre che poggiano su eleganti marcapiani in peperino e le colonne angolari bugnate. Originariamente questa costruzione assimilò a Sud-Ovest il già menzionato Torrione Annibaldi e a Sud-Est una parte del Palazzo di pian di corte, lasciando, però, separate queste strutture nel loro prospetto Sud. Questo fatto ha dato modo di elaborare alcune teorie che riguarderebbero soprattutto l’intento originario del progetto: con molta probabilità, il palazzo baronale avrebbe dovuto avere una forma quadrangolare, con cortile centrale, assorbendo quasi interamente tutto il complesso dei Palazzi e servendosi di questi corpi di fabbrica come ‘fondamenta’ del nuovo, imponente edificio. Ciò nonostante, nel XVI secolo, venne realizzata la costruzione solamente di una parte del palazzo inizialmente progettato, lasciando, per così dire, l’opera incompiuta. Anche se non esistono fonti certe di quanto detto, lo studio attento della sua struttura e la presenza di diversi indizi in questo senso, donano alla tesi qui riportata un potente alone di veridicità. Storicamente, infatti, sappiamo che il periodo che va dal 1599 al 1625 fu caratterizzato da frequenti difficoltà economiche della famiglia Santacroce, e che a causa dei numerosi debiti all’epoca contratti (ivi inclusi quelli con gli Spezza), dovettero cedere nel 1625, per una cifra stabilita nell’ordine di sessantacinquemila Scudi d’oro, il feudo alla famiglia Colonna; è quindi da escludere che i Santacroce si trovassero nelle condizioni migliori per dedicarsi al completamento del palazzo baronale. Nel 1625, i Colonna vennero in possesso del Marchesato di Patrica, ma, a quanto sembra, furono più interessati alla valle del Sacco che non alle sorti del paese e questo perché l’acquisizione del feudo venne motivato dalla volontà del nobile casato di creare un bilanciamento di poteri in un luogo strategico di cruciale importanza, dominato dalla famiglia Caetani, storicamente opposta alla potente famiglia romana, che deteneva la signoria di Fumone. Iniziò così la costruzione di un nuovo palazzo in zona Tomacella, sulle rive del fiume Sacco, in posizione dominante sulla valle, ma simbolicamente decentrato rispetto al paese. La costruzione del Palazzo Colonna, aquanto pare, ebbe inizio nella seconda metà del XVII secolo, quando ormai il Palazzo baronale di Patrica era già, in gran parte proprietà della famiglia Spezza. Bisogna, a questo punto, fare una precisazione in merito alle diverse destinazioni d’uso dei Palazzi della Corte. I documenti in nostro possesso a tal riguardo non sono chiari, comunque si presume che il Palazzo cinquecentesco sia stato costruito con lo scopo di sostituire nelle sue funzioni istituzionali quello tardo-duecentesco dell’antica Corte, e di conseguenza quello che oggi è il “piano nobile”, con molta probabilità, deve essere stato ‘allestito’ con l’intento di ospitare una serie di sale destinate alle udienze e altre destinate alla cancelleria come testimoniano una serie di decorazioni parietali anticamente presenti nella Sala dello Stemma e nella Sala delle grottesche; tuttavia, almeno inizialmente, questo nuovo corpo di fabbrica non risultava essere di dimensioni sufficientemente grandi per tale utilizzo; molto probabilmente, le altre strutture del complesso avevano mantenuto, fino alla prima metà del XVII secolo, le loro funzioni e il Palazzo rinascimentale venne impiegato, principalmente, con scopi di rappresentanza. Nella prima metà del Seicento numerosi documenti attestano la presenza nei Palazzi della Corte di un “notaro” Antonio Spezza, il quale permutò alcuni fabbricati di sua proprietà con il “Palazzo di pian di corte”; tuttavia, è più che probabile che il notaio Antonio utilizzasse il palazzo come suo studio, e non come residenza, anche se l’idea di trasformare ad uso abitativo il complesso, quasi certamente, è imputabile alla sua volontà. Con l’avvento poi, dell’amministrazione Colonna, le sorti della famiglia e quelle del Palazzo erano inevitabilmente destinate a cambiare.
La famiglia Spezza nel corso del seicento incrementò molto la propria importanza nel contesto cittadino, così da spingere diverse famiglie notabili ad imparentarsi con loro e a costituire una ‘casta’ nobiliare, non sempre in placido accordo con i discendenti dei conti di Tuscolo. Esponente principale di questo periodo fu il conte Ercole e successivamente il suo primogenito Nicola. Recenti studi hanno messo in evidenza la possibilità che i rapporti tra i Colonna e gli Spezza non fossero dei migliori, in realtà la documentazione necessaria per avvalorare una simile ipotesi non è sufficientemente chiara. Ad onor del vero, in questa sede sembra più opportuno parlare di una stretta complicità tra le due famiglie che culminerà nel 1759 con un atto di riconoscimento di importanti “Prerogative, Privilegi ed Esenzioni” nel Marchesato, attribuite da Federico Colonna al conte Nicola e ai suoi discendenti, Carlo e il Monsignor Angelo. Il valore ‘legale’ di questo atto è sintomatico dei rapporti che legarono i due casati, soprattutto per ciò che riguardava l’indiscussa ingerenza degli Spezza nella politica cittadina e le “competenze” dell’una e dell’altra famiglia nell’amministrazione del territorio. Fu in questo periodo storico così favorevole per la famiglia, che Nicola Spezza decise di intraprendere dei consistenti lavori di ampliamento della propria avita dimora.
Uno dei primi interventi fu la costruzione di una nuova “ala”, proiettata verso Est, e la costruzione di un corpo di fabbrica che chiudeva il prospetto Sud del Palazzo, mettendo in diretta comunicazione il “Torrione Annibaldi” con il Palazzo di pian di corte. Per quanto riguarda quest’ultimo intervento, recenti studi hanno messo in luce la possibilità che la sua realizzazione possa risalire al primo quarto del Settecento o addirittura alla fine del XVII secolo, attribuendone la paternità della committenza al conte Ercole, padre di Nicola Spezza, o ai suoi predecessori, ma purtroppo la tesi, che si basa essenzialmente sullo studio dell’architettura di una sala delle attuali cantine detta “Sala della Loggia”, non è facilmente dimostrabile. Ciò che invece sembra più possibile è che questa struttura, che corrisponde in planimetria all’intero intervento di chiusura della facciata sud, sia stata costruita prima dell’ampliamento settecentesco, al fine di creare un grande terrazzo con al di sotto una loggia, caratterizzata da una seria di volte a vela, che si apriva dinanzi ad un piccolo cortile inserito tra il Palazzo dell’antica Corte e il Palazzo di pian di corte. Secondo quanto ci è dato sapere, nel XVIII secolo le arcate di questa loggia vennero tamponate, aprendo sulle massicce pareti delle ampie finestre e tutta questa costruzione fu utilizzata come ‘fondamenta’ per l’ampliamento del piano nobile e del secondo piano. L’ampliamento al piano nobile consistette nella creazione di due sale contraddistinte da deliziose volte a padiglione che vennero decorate nel 1805. L’intervento che, tuttavia, impegnò maggiormente la famiglia fu certamente la già menzionata creazione della “Ala Nuova”. E’ probabile che l’intento originario fosse quello di creare un grande salone a doppia altezza, una sorta di sala di alta rappresentanza o “Sala delle Udienze”. Quasi immediatamente però, la scelta di realizzare al posto del classico tetto a falde un grande terrazzo, comportò non pochi problemi al nuovo corpo di fabbrica. Nel primo quarto del XIX secolo venne perciò deciso di coprire il terrazzo sovrastante e, per rendere più solida la struttura, venne creato un muro di spina che separò la grande sala in due realizzando inoltre un piano superiore destinato alla foresteria. Al piano nobile venne ricavato dal precedente ambiente, un salone di dimensioni più contenute, con tre retrocamere adiacenti e comunicanti che nel XIX secolo costituirono, insieme con l’odierna Sala delle Armi, gli appartamenti del Monsignor Cesare Spezza.
Tra gli eventi di una certa importanza che caratterizzarono la storia della famiglia e della sua dimora vi è, nella seconda metà del XVIII secolo, lo stretto rapporto d’amicizia instauratosi tra il conte Nicola e l’allora cardinal Gian Vincenzo Antonio Ganganelli, che nel Maggio del 1769 sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Clemente XIV. Il cardinal Ganganelli fu ospite del conte Nicola e commissionò la splendida pala d’altare della chiesa di San Giovanni, luogo sacro dove storicamente un ramo della famiglia ebbe cappelle gentilizie con sepoltura e cappellania di iuspatronato sotto il titolo di Santo Stefano.
Un altro intervento di grande importanza fu la sistemazione del cosiddetto “Cortile d’Onore” con la creazione di una serie di terrazzamenti ascendenti verso la Rocca o “Cittadella” e la costruzione nel 1774 dello squisito “Ninfeo” che designa l’ingresso al giardino pensile di formazione seicentesca. L’aspetto stravagante che contraddistingue il Ninfeo rappresenta, per così dire, un ‘unicum’ nell’ambito dell’architettura locale, distaccandosi profondamente dal gusto proprio della romanità, per aderire a canoni stilistici e decorativi di dichiarata ispirazione francese. L’intera struttura, che rappresenta una sorta di monumentale ‘cornice’ del cosiddetto “Corridoio Prospettico” del giardino pensile, è costituito da una serie alternata di colonne monolitiche finemente scolpite con motivi di ispirazione naturalistica e con figure grottesche di eccellente manifattura. Le colonne più alte, insieme a quelle di altezza inferiore che si trovano all’estremità della struttura, terminano con articolati pinnacoli, che ne amplificano il carattere puramente decorativo. Queste colonne sono raccordate nella parte centrale da un architrave al centro del quale vi è scolpito un rosone raffigurante la rosa dei venti, tipico elemento ornamentale del tardo secolo barocco; nelle parti laterali, rispetto al portale d’ingresso, il raccordo, dall’andamento discendente verso le estremità, è realizzato mediante dei modiglioni che terminano con eleganti volute, sotto i quali si aprono deliziose nicchie rimarcate da cornici modanate. La scenografia estremamente elegante e articolata che il Ninfeo crea, bene si sposa, tutto sommato, con l’aspetto severo ed imponente della facciata del palazzo e con le macere, dal carattere dichiaratamente rustico, che si ‘arrampicano’ in un turbinio di spirali fin sopra la Rocca. Riguardo alla sua committenza, si è ipotizzato che l’ideatore di questa struttura fosse stato il monsignor Gian Domenico Finateri, zio di Anna Maria Finateri, moglie dal 1739 del conte Nicola. Il Monsignor Finateri fu diplomatico pontificio di indiscussa fama e priore dell’ Ordine di Malta e San Lazzaro, risedette presso la corte di Luigi XV e XVI fino allo scoppio della Rivoluzione Francese e, una volta tornato in Italia fu ospite per diverso tempo nel Palazzo baronale. In effetti ogni elemento stilistico del Ninfeo mostra, senza alcun dubbio, l’ispirazione a canoni architettonici propri del tardo barocco d’oltralpe, ma in ogni caso il riferimento al Monsignor Finateri deve essere fatto semplicemente come ispiratore e non come committente.
Nel corso del XIX secolo, numerosi membri della famiglia si dedicarono ad una vasta opera di ristrutturazione ed abbellimento dell’intero complesso architettonico. Numerose sono le decorazioni realizzate nella prima decade del secolo, ivi comprese quelle della Sala degli Antenati e quelle delle volte nelle retrocamere del piano nobile. Tuttavia, gli interventi più consistenti furono le demolizioni degli antichi Palazzi della Corte e la creazione, nel terzo quarto dell’Ottocento, di un giardino pensile detto “giardino segreto” che diede una suggestiva “apertura” al prospetto Sud del Palazzo, immergendo l’intera struttura in un contesto naturale di eccezionale fascino.
Tra gli antenati più significativi dell’epoca, ci sembra opportuno menzionare il Monsignor Cesare Spezza, il quale fu reggente della Cancelleria Apostolica, canonico vaticano, protonotario apostolico e prelato referendario del Tribunale di Segnatura. Persona d’animo generoso, dedito a diverse opere di mecenatismo e contraddistinto da una grande sensibilità nel donare a favore della collettività, Monsignor Cesare, commissionò numerose ristrutturazioni negli appartamenti al piano nobile. Tra gli interveti maggiormente caratterizzanti vi è sicuramente la sostituzione delle pavimentazioni originarie, realizzate in finissimo cotto, con mattoni in graniglia di marmi policromi che decorano in maniera sontuosa tutte le sale di rappresentanza. La committenza del restauro della Sala d’ingresso e della Sala delle Udienze si deve invece al conte Achille il quale, in occasione del suo matrimonio con la contessa di Terni Anna Castelli, decise di far realizzare, nella Sala d’ingresso, un maestoso stemma con le Armi congiunte delle due famiglie, al posto delle malridotte, sebbene interessanti, decorazioni tardo seicentesche che caratterizzavano questo ambiente. La sala che anticamente veniva chiamata “Sala delle Udienze”, contraddistinta da una vastissima decorazione parietale a grottesche, venne anch’essa ristrutturata, in modo tale da poter ospitare l’imponente quadro che ritraeva Leone XIII, mediante il rivestimento delle pareti affrescate con un broccato dal color rosso cardinalizio.
Nel 1851 Ercole Spezza si unì in matrimonio con Severina dei conti Pecci, nipote di Vincenzo Giovacchino Pecci, che nel 1878 sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Leone XIII, fautore tra l’altro, della celeberrima enciclica “Rerum Novarum”. Questa unione ebbe significativi risvolti non solo per la famiglia, ma anche per Patrica: all’alba del XX secolo, Leone XIII volle erigere 20 croci sulle cime più alte d’ Italia in segno di redenzione. A Patrica, l’iniziativa venne fortemente sostenuta dai suoi nipoti prediletti, il Monsignor Cesare e il cavalier Nicola Spezza, i quali, oltre alle ingenti donazioni fatte a tal scopo, istituirono un comitato per sostenere economicamente l’impresa e per rendere partecipe la cittadinanza tutta dell’importante avvenimento.
Inoltre, in questa sede, ci sembra doveroso ricordare l’energica opera di conservazione e valorizzazione del vasto complesso architettonico che animò, intorno alla metà del secolo scorso, le volontà del conte Vincenzo e della sua sposa Maria Vittoria Silvestri Faà, contessa e nobile coscritta di Anagni, dei quali rimane traccia indelebile nella storia della famiglia ed in quella del paese.
Da ultimo e per completezza, vanno menzionati i costanti e cospicui interventi di manutenzione conservativa che gli attuali discendenti del nobile casato hanno compiuto negli ultimi trent’anni, in tutto il vasto complesso del Castello Spezza che continua a vivere al passo con i tempi, ma offrendo al contempo un’autentica testimonianza della ‘peripezie’, che in maniera incancellabile, hanno caratterizzato i suoi quasi undici secoli di vita.
Iscriviti a:
Post (Atom)